Ravaioli Legnami: "Sempre a caccia di nuove idee"

Angelo Bagnari

Angelo Bagnari è una persona che guarda avanti con la luce negli occhi di chi vede nel futuro opportunità, vive il presente con chiarezza e dal passato ha imparato (e fatto sue) molte lezioni. Il suo ingresso nella Ravaioli Legnami risale al 2005 ma la storia dell’azienda parte a metà degli anni Ottanta del secolo scorso quando il padre, Elio, rileva quella che, ai tempi, era una piccola realtà che realizzava cornici in legno per quadri, per avviarla verso il mercato edile, realizzando battiscopa e cornici per porte e finestre.

Negli anni Duemila avviene la nuova svolta che porta l’azienda a collocarsi tra le leader nel settore dei rivestimenti in legno.

La nostra chiacchierata avviene a pochi giorni dall’alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna. Anche la sede di Ravaioli Legnami, vicino a Ravenna, ha subito danni e la produzione sta riprendendo, anche se un po’ a rilento.

COM’È LA SITUAZIONE, ANGELO?

Ci stiamo rialzando. La produzione è ripartita in buona parte ma è ancora molto complicata… La zona colpita è molto estesa. Ce la stiamo mettendo tutta.

I DANNI SONO INGENTI?

Lei provi a immaginare vedere scomparire tutto ciò che è di uso quotidiano per una famiglia. Pensi solo alle auto. Sono da buttare. E da ricomprare. Non sarà facile.

SI DICE CHE I ROMAGNOLI NON SI ARRENDANO MAI.

E sarà così anche questa volta.

LA STORIA DELLA VOSTRA AZIENDA LO INSEGNA…

Reinventarsi e crescere è nel nostro Dna. Ci sono momenti difficili ma bisogna tenere duro e guardare oltre.

COME SIETE ARRIVATI AI RIVESTIMENTI?

Con tantissimo lavoro e molta creatività. Quando abbiamo rilevato la filiale di Rimini si è aperta l’opportunità di entrare nel mercato del turismo, occupandoci di outdoor. Nei tempi del Covid questa linea di business si è sviluppata ulteriormente, vista la necessità di distanziamento e il conseguente forte potenziamento delle aree esterne. Siamo stati in grado di rispondere rapidamente, ed efficacemente, alle richieste di privati, commercianti ma anche di enti pubblici per consentire una maggiore vita all’aperto.

IL LEGNO NON È MAI PASSATO DI MODA MA NEGLI ULTIMI ANNI È ARRIVATO A ESSERE USATO MOLTISSIMO ANCHE NELLE SUPERFICI VERTICALI…

Uno degli scogli più complessi che abbiamo dovuto affrontare è stato quello di portare l'utilizzo del legno in verticale da prodotto “semplice” (qualcuno ricorda il perlinato anni '70, simbolo per eccellenza di un'estetica cheap e desueta?) fino al mondo del “luxury”, dove ora è applicato in architetture di assoluta eccellenza e rappresenta un vero e proprio plus. Per farlo abbiamo voluto distinguerci dalla massa e puntare sull’ingegnerizzazione, ideando moltissimi brevetti e sistemi di posa che ci hanno permesso di ottenere risultati inaspettati. Siamo arrivati a potere usare il legno in modo estremamente versatile.

COMPLICATO?

Molto. Ma ci ha dato la possibilità di andare oltre al vecchio concetto del legno. Quando sei vincolato a delle regole devi trovare le soluzioni che le rispettino.

VOI LAVORATE MOLTO ANCHE CON L’ESTERO. QUAL È IL PAESE PIÙ COMPLICATO?

In termini di regole sicuramente l’Inghilterra: dopo il devastante incendio delle Grenfell Tower di Londra è obbligo, dal secondo piano in poi, che ogni rivestimento sia inerte. Per cui ci siamo trovati da un giorno all’altro a doverci reinventare.

E COSA AVETE STUDIATO?

Abbiamo riconquistato il mercato inglese grazie ai nostri sistemi di posa, implementando anche l’aspetto ignifugo dei materiali e individuando e realizzando tecniche che, con vernici o impregnazioni specifiche, rientrano nelle certificazioni.

LEI SUL MERCATO ESTERO HA SCOMMESSO MOLTO…

E la scommessa, anche se difficile, è vincente. Per tre anni ho dovuto cercare quale fosse il filone giusto. Ragionavo in modo convenzionale per presentare i nostri prodotti. Poi ho capito che dovevo rivolgermi ad architetti e designer per raccontare tutte le soluzioni che siamo in grado di offrire.

UN MONDO NON FACILE.

Un mondo molto chiuso nel quale abbiamo dovuto costruirci una reputazione, dimostrare la nostra affidabilità e la capacità di realizzare migliaia di soluzioni diverse. Questo ci ha salvato durante il Covid.

PERCHÉ?

Ci conoscevano già. Sapevano cosa eravamo in grado di fare e anche quello che avremmo potuto sviluppare. Abbiamo investito molto nell’online e, a volte, era sufficiente una videochiamata. Anche se l'essere tornati alla normalità ci permette, ovviamente, di lavorare molto meglio.

QUALI SONO I MERCATI STRANIERI PIÙ INTERESSANTI?

L’Arabia Saudita sta puntando e investendo molto nel turismo con strategie di marketing e la realizzazione di infrastrutture importanti. Ma anche l’Africa è un Paese che ogni anno cresce. Soprattutto il Nord e il Senegal.

IL CONFLITTO TRA RUSSIA E UCRAINA PER VOI È UN DANNO?

Erano due paesi che crescevano costantemente ogni anno, nei nostri target, a doppia cifra. Sono luoghi nei quali abbiamo contatti con molte realtà che sono diventate anche amiche. È un danno ma, soprattutto, un dolore.

LO SCORSO ANNO È STATO ELETTO ALL’UNANIMITÀ PRESIDENTE DEL GRUPPO GIOVANI IMPRENDITORI DI CONFINDUSTRIA ROMAGNA. COM’È L’AVVENTURA?

Tosta. È molto interessante il contesto di relazioni: un luogo nel quale potersi confrontare. Io credo molto nel fare rete. Certo richiede tempo. È importante rendere partecipi gli associati e fare conoscere in modo approfondito il mondo di Confindustria nel quale io credo molto.

PERCHÉ?

Rappresenta l’imprenditore al 100%. Non lo lascia solo. Il mio ruolo, per esempio, mi permette di occuparmi di temi diversi in modo trasversale. A volte mi capita di affrontare situazioni che nella mia azienda, probabilmente, non capiteranno mai, ma diventa esperienza personale. Crescita.

LAVORARE PER UN’AZIENDA DI FAMIGLIA SIGNIFICA PORTARE IL LAVORO A CASA?

Cerco di tenerlo lontano. Mi alzo presto la mattina e faccio sport. Per scaricarmi e ricaricami per affrontare la giornata con lucidità. In quest’epoca ormai è chiaro che bisogna scindere il lavoro dalla vita. Altrimenti ne risentono entrambe. In questo mi aiuta molto il fatto di avere una figlia piccola. Ho dovuto imparare a lasciare il lavoro in azienda: è una bambina, ha richieste precise, e io voglio essere in grado di rispondere adeguatamente.

COSA SOGNAVA DI FARE QUANDO ERA BAMBINO?

O il contadino o il muratore. Vivo in campagna e ancora adesso, ogni tanto, mi diletto tra piante e fiori.

QUAL È LA QUALITÀ CHE DEVE AVERE CHI LAVORA CON LEI?

Non essere invidioso. Essere ambizioso e non avere fretta.

CHE RAPPORTO HA CON LA MODA?

Mi affascina moltissimo. Mi vesto con attenzione. Per me è molto importante. Mi affascinano i brand che hanno saputo creare innovazione. Credo che l’alta moda abbia quel potere di creare un prodotto che, all’inizio, fa storcere il naso perché è fuori dalle convenzioni. Poi, in poco tempo, lo trovi declinato anche sulle bancarelle del mercato. Capita anche a noi.

INTENDE AI SUOI PRODOTTI?

Non è così diverso. Tante cose le abbiamo inventate noi e adesso le vedo nella grande distribuzione. La grande soddisfazione è sapere che è nato da una tua idea. Il nostro mestiere è legato alla cultura. Devi stare attento a colori e tendenze, alle novità. Devi fare delle scelte che colpiscano il cliente. A me piace pensare che, chi acquista i nostri prodotti, quando li vive e guarda un tuo pavimento o un rivestimento gli arrivi quel pezzettino di felicità che ti dà la bellezza.

COS’È PER LEI LA BELLEZZA?

Può essere dappertutto. Va ricercata. E non deve spaventarti la novità. Guardare le cose con curiosità. Noi abbiamo dei prodotti nuovi che sono ancora nel cassetto. Perché capisco che, per adesso, è ancora presto. Bisogna lanciarli nel momento in cui possano essere capiti.

QUAL È IL SUO PEGGIOR DIFETTO?

Pensare troppo. Ho il cervello che non sta fermo. Sono sempre a caccia di nuove idee e pensieri. Ma a volte capisco che sono acerbi. Allora li lascio lì, a maturare e decantare.

COSA LA INFASTIDISCE?

L’invidia e il giudizio. Non mi piacciono le etichette. Le faccio un esempio molto recente. L’altra mattina ero in palestra dove, spesso, ho sentito frasi infelici nei confronti dei profughi. Dei quali noi non conosciamo la realtà dalla quale stanno fuggendo o le ragioni che li portino a farlo. Bene. Mentre mi stavo allenando ho sentito la stessa persona che spesso esprimeva queste opinioni per me non condivisibili lamentarsi del fatto che, durante l’alluvione, si fosse sentita un profugo. E ha un tetto sulla testa. Vede: nessuno di noi conosce il futuro. Non sappiamo come sarà il domani. Io credo che un po’ di empatia nei confronti degli altri ci aiuterebbe a essere persone migliori.

Riviste