Colori e tendenze: l'uso del bianco nel design

Pamela Albanese - TosiLab

Passeggiando per le vie principali delle grandi città influenti in termini di tendenze, visitando fiere di arredamento e mostre d’arte, ci si può imbattere in una serie di esempi di superfici bianche che hanno una caratteristica comune: strati di materia che restituiscono tridimensionalità quasi scultorea. Sono sfondi delle vetrine dei più importanti marchi di moda, rivestimento di locali, ristoranti e case di design.

L’esasperazione del concetto si può vedere in azione nella sezione Codice Italia della Biennale Arte di Venezia, grazie alla ricreazione di uno spazio a opera di Luca Monterastrelli. Il giovane artista romagnolo ha esposto una nicchia interamente ricoperta sulle tre pareti da strati insistenti di massa bianca, sotto forma di gocce irregolari e grumose a far da sfondo ai suoi totem contemporanei.

Il reiterato uso di materia candida sovrapposta è identificata da una formula: “the body of white”. All’interno di questa espressione rientrano tutte le superfici nitide con carattere che diventano elementi distintivi da rivestimento non solo da interno, ma spesso anche da esterno.

Il motivo non vive affatto nell’universo del minimalismo, sebbene il bianco sia emblema dell’essenzialità. Tuttavia non è neanche di matrice classicista, sebbene il candore dei materiali si sposi perfettamente con i canoni estetici canoviani e palladiani.

Il bianco corposo ha echi lontani e richiama in modo immediato la cultura solare, spontanea e vissuta dei popoli del Mediterraneo: il Tadelakt Marocchino (rivestimento a calce delle abitazioni), le case elleniche, quelle del meridione d’Italia e dell’Andalusia. Ricorda elementi un po’ tipici dei rifugi vista-mare o della campagna, entrambi antidoti anti-urbani e simboli del vivere slow, la tendenza più agognata del momento. Infatti, il tempo qualitativo per sé stessi implica un ritmo diverso dal routinario, serve per recuperare spazio nella mente: è, e continuerà ad essere, il vero privilegio della nostra epoca. Per questo, tante suggestioni evocano tali aree geografiche dove viene alternata la pietra chiara locale alla calce da copertura per rendere le case meno sofferenti al caldo afoso dei mesi estivi.

Negli scenari estetici analizzati la passione per le superfici candide si sostanzia in effetti disparati. Il più diffuso è il muretto di mattoncini ricoperto di bianco, dove si intravede la forma della composizione rettangolare sottostante. Innumerevoli pattern di brick compongono pareti che poi sono interamente affogate nel nitore degli impasti. Risultato? Un’atmosfera modern chic e metropolitana.

Questo concetto strizza l’occhio alla tendenza denominata authentic living, un invito a lasciare intatte le case, pervase da una storia precedente, esponendo e valorizzando i dettagli e gli elementi già esistenti. In tali casi, come sosteneva Carlo Scarpa, si tende ad assecondare l’esistente piuttosto che contrastarlo: scegliere il momento giusto anziché sfoderare la superbia del creatore. Le parole d’ordine sono look autentico e reduce da uso, mentre la fisicità è frutto di strati di materia e poco importa che sostanza sia: gesso, intonaco, altra tipologia di colore, conta solo che vari strati diano massa al candore.
Largo quindi anche a residui di stucchi decorativi parzialmente grattati via dalle intemperie, o pareti che paiono realizzate da imbianchini maldestri, con effetti “non-finiti”, l’importante è che i rilievi siano palpabili. Questi lavori non presentano mai tratti delineati in modo preciso, mai forme pulite. Si tratta sempre di estetiche indefinite, casuali, abbozzi di geometrie, accenni di floreali, richiami a stucchi e fregi.
In alcuni casi il risultato è frutto di fusioni di elementi diversi. Tessuti, fili, reti e residui di segatura persi nel candore della sostanza usata per uniformarli. Da tali ibridazioni emergono le forme più disparate: tutto ciò che vive nella sfera dell’imperfezione data dalla mano dell’uomo.

Il punto di bianco scelto varia a seconda dei contesti: esso viene declinato in base alla saturazione e alla dominante (giallo, rosso o blu) su infinite sfumature che lo rendono il più vario delle basi cromatiche. A volte risulta più vicino all’avorio, altre più simile al lino, altre ancora più vicino al ghiaccio, poco importa, quello che conta è la fisicità della materia. Non stupisce che in tutti i casi esista un unico elemento in grado di conferire significato a tali superfici: la luce. Ne è convinto Richard Meier, l’architetto che grazie al bianco ha realizzato un fattore cruciale della propria cifra stilistica: «Il bianco assoluto evidenzia le differenze tra elementi, tra aperture e chiusure, tra solidità e trasparenza, tra involucro e struttura… Il bianco è il colore più straordinario. Nel bianco puoi vedere l'intero arcobaleno. Il candore viene sempre trasfigurato dal riverbero della luce, è scandito dalle posizioni del sole e della luna, riflette le configurazioni dei cieli, delle stelle e delle nuvole». Impossibile dargli torto.